I mondiali di Francia sono i mondiali "della" Francia. Nel senso che rappresentano la grande occasione che l'intero paese sente di dover cogliere per recuperare un gap storico.
Il paese transalpino è infatti uno dei pochi di solide tradizioni calcistiche che, fino al '98, non solo non ha mai vinto un mondiale, ma neanche ha mai disputato una finale.
I mondiali a stelle e strisce sono quelli della svolta: smettono di essere la più importante competizione dello sport più popolare che mette di fronte le più forti nazionali del mondo per convertirsi ufficialmente in potente veicolo di promozione del grande business mediatico. L'organizzazione smette di essere affidata a un paese di solide tradizioni calcistiche, rispettando la rigida alternanza Europa/America Latina, e viene consegnata a paesi calcisticamente vergini, che rappresentano potenziali importanti bacini di mercato. La designazione degli USA sancì definitivamente questa deriva, le cui prime piccole avvisaglie venivano da lontano; penso al fatto di giocare in Messico a 2.000 di altitudine a mezzogiorno per motivi esclusivamente televisivi (le 12,00 locali corrispondono alle 20,00 del nostro fuso orario). Qualche sparuto libero pensatore tentò di denunciare il pericolo, ma la massa di pecoroni dei media, obbedendo alla sua unica missione di ossequiare i potenti, tacque se non esaltò in qualche caso questa deriva scivolosa, che, progressivamente, ha portato all'assurdo dei mondiali 2022 in Qatar.
Polemiche, scandali, grandi e inutili opere mal realizzate, mai finite, o addirittura mai inziate…
Il primo ricordo di Italia ’90 è, però, quello di un tormentone e la prima immagine è la copertina di un disco (forse allora c’erano ancora i 45 giri in vinile).
Le notti magiche inseguendo un gol. Forse è stata la prima volta che un Campionato del Mondo ha avuto la sua “canzone ufficiale”; questa è stata scritta da Giorgio Moroder ed interpretata da Gianna Nannini e Edoardo Bennato, autori anche delle parole e dell’arrangiamento definitivo. Al prima ascolto ti sembrava anche gradevole; a lungo andare veniva voglia di spaccare la radio…
L’album di Mexico ’86 si apre ancora una volta con una gigantografia.
È quella di un piccolo uomo con la faccia da scugnizzo, che dal barrio di Villa Fiorito, a Buenos Aires, è giunto sul gradino più alto del mondo, passando proprio dalla città crogiuolo di tutte le inquietudini, di tutti i mali, di tutta la genialità e i sentimenti del mondo: Napoli.
Le immagini del Mundial di Spagna ’82 sono diventate, anche per chi ancora non c’era, icone della nostra storia recente. L’urlo di Tardelli, Paolo Rossi inginocchiato ad omaggiare Eupalla[1], le braccia di Zoff che stringono la Coppa, il volto gioioso del Presidente Pertini, lo “scopone scientifico” sull’aereo del ritorno a Roma; tutte rappresentazioni di una vittoria, dell’affermazione di un paese che rinasceva dalle ceneri degli “Anni di Piombo”, del terrorismo, della guerra fratricida, e che si accingeva a vivere un momento di splendore e prosperità. Che poi questo porterà a vivere al di là dei nostri mezzi, con conseguenze che ancora oggi paghiamo pesantemente, è un’altra storia…
La prima foto di questi Mondiali è, in verità, un poco inquietante.
Raffigura i Campioni, la Coppa, la folla in tripudio; ma, sullo sfondo campeggia un’immagine sinistra, quella di un fantasma che aleggia sui vincitori e sull’intera manifestazione, che ha steso la sua nera mano su tutta l’Argentina, prima e durante il Mondiale.
L’Argentina che si laurea campione nell’edizione del ’78 è la stessa che vede al potere da poco più di 2 anni la più cieca e sanguinaria delle dittature. La giunta militare di Jorge Rafael Videla si era macchiata di migliaia e migliaia di sequestri, torture, omicidi; e continuerà durante e dopo la kermesse.
di maurizio paolillo
“Cruijff protestava con l'arbitro per un fallo commesso da me. Allora gli suggerii di tenersi il pallone e di darcene un altro, visto che quella partita dovevamo giocarla anche noi. Cruijff mi chiese: «Come ti chiami?» «Jorge Valdano». «E quanti anni hai?» «Ventuno». «Ragazzino, a 21 anni a Johan Cruijff si dà del Lei…»”[1].
L’album di Germania ’74 si apre con una grande foto a tutta pagina in cui campeggia un numero 14. Il personaggio ritratto è un gigante nella storia del calcio e una pietra miliare in quella del costume.
Johan Cruijff, per me, è stato letteralmente una leggenda.
di maurizio paolillo
L’album di Mexico ’70 è dominato dalla gigantografia di Italia – Germania; non una semplice partita: un mito, una leggenda, un dramma, un film, un’allegoria della vita. I messicani, che hanno una naturale predisposizione al melodramma, l’hanno anche santificata con una lapide infissa in una parete dello stadio Azteca di Città del Messico.
di maurizio paolillo
Uno degli arcani del calcio è che il suo fascino può manifestarsi allo stesso modo nella partitella tra bambini di 10 anni come nella finale di Coppa Campioni (un po' meno in quella di Champions League...).
Come la grazia femminile, che può rivelarsi sia nella perfezione di una diva di Hollywood sia nel viso pulito di una ragazza di campagna.
Di seguito il comunicato relativa alla presentazione del libro di Fabrizio Prisco "Sogno Mundial".
Per questo sito e per l'associazione Sogno Cavese che sostiene "Il Calcio è della Gente!" è davvero un piacere dare questa notizia, visto che tutto è partito da una chiacchierata tra amici, la pubblicazione della rubrica Sogno Mundial, i video realizzati e le curiosità narrate in quel periodo d'estate che ...si ripete ogni quattro anni.
A domenica.
C’era una squadra che non vinceva mai. Stiamo parlando della Spagna. Nel corso del Novecento tanti campioni hanno vestito la casacca della Roja: da Pichichi a Zamora, da Di Stefano a Suarez, da Kubala a Puskas, da Amancio a Gento, da Santillana a Butragueno. Eppure fino a poco tempo fa nella bacheca delle furie rosse c’era un solo trofeo: la Coppa Europa vinta nel 1964 battendo per 2-1 a Madrid l’URSS di Jascin con un gol di Marcelino a sei minuti dal termine e con Josè Villalonga in cabina di pilotaggio. Nel 1984 sempre nella finale dell’Europeo la truppa di Munoz si era arresa alla Francia di Platini. Nel 1982 anche il Mondiale organizzato in casa era stato un fiasco. La cosa è ancora più assurda se si pensa che mentre la Nazionale stentava, i due club più importanti, il Real Madrid e il Barcellona, fin dagli anni cinquanta venivano considerati un modello in campo internazionale, specialmente le merengues.
Campioni del mondo. Ventiquattro anni dopo Madrid. E in concomitanza con lo scandalo di “Calciopoli”. Chi l’avrebbe mai detto. Gli azzurri di Marcello Lippi si ricompattano nel momento più difficile e restituiscono una dimensione mondiale al nostro movimento proprio mentre nelle aule dei tribunali si discute sul futuro del calcio italiano. Il gol di Grosso al 119’ con la Germania, la testata di Zidane a Materazzi, i rigori con la Francia, le prestazioni monstre di capitan Cannavaro, la quarta Coppa del Mondo alzata nel cielo di Berlino. Queste le istantanee più belle del trionfo azzurro.
Pelè ha sempre detto: “Felicità è vedere un pallone rimbalzare. Non c’è nulla di più triste di un pallone sgonfio”. Abbiamo lasciato Ronaldo alla fine dei mondiali di Francia mentre scendeva tremolante la scaletta dell’aereo che lo riportava a Rio. Sono passati quattro anni. Un periodo lunghissimo, una strada lastricata di delusioni, di infortuni e di sale operatorie. Il 21 novembre 1999 in un Inter-Lecce si lacera parzialmente il tendine rotuleo del ginocchio destro. Il professor Saillant lo opera a Parigi. Rientra dopo quattro mesi e mezzo nella finale di Coppa Italia a Roma contro la Lazio. Ma si rompe per la seconda volta dopo sei minuti. Il suo urlo di dolore squarcia la notte della Capitale. Il tendine operato si lacera stavolta completamente. Il 13 aprile del 2000 a Parigi è di nuovo sotto i ferri. La rieducazione è infinita. Torna a disposizione alla fine del 2001. Hector Cuper lo utilizza con il contagocce. Nella parte decisiva della stagione è titolare in pianta stabile. L’Inter è in testa al campionato. Lo stadio “Olimpico” di Roma il 5 maggio 2002 gli regala un’altra delusione. Una Lazio che non ha più nulla da chiedere supera per 4-2 i nerazzurri che vengono scavalcati in classifica dalla Juventus e perdono lo scudetto. La fotografia di Ronaldo seduto in panchina in lacrime fa il giro del mondo. In cinque anni a Milano gioca solo 68 partite. Il tecnico del Brasile Felipe Scolari nonostante tutto continua a credere in lui e lo porta al Mondiale che si disputa per la prima volta in due stati, Corea del Sud e Giappone. Sarà ampiamente ripagato.
Spagna, 1982. Sono passati 24 anni dall’ultima grande Francia, quella di Kopa e Just Fontaine, che arriva terza ai mondiali in Svezia. Con la maglia dei transalpini c’è un 27enne numero 10 che incanta. E’ Michel Platini. Si arrenderà in semifinale allo strapotere della Germania Ovest. La stessa cosa accadrà in Messico quattro anni dopo. In mezzo la vittoria agli Europei del 1984 in casa e davanti ad un pubblico in estasi per i suoi 9 gol. Il primo vero e unico trionfo in campo internazionale della storia dei bleus. Mentre a Bilbao, Valladolid, Madrid, Siviglia e Alicante nel 1982 Platini semina sprazzi della sua classe, ad ammirarlo davanti alla tv a Marsiglia c’è un ragazzino di dieci anni, Zinedine Zidane. Viene dal quartiere popolare di La Castellane e indossa anche lui la maglia numero 10 del Saint-Henri. La sua famiglia è originaria della Cabilia, una regione berbera dell’Algeria, ed è emigrata in Francia nel periodo della guerra civile. In verità il suo primo idolo calcistico è l’uruguaiano Enzo Francescoli. Ma le strade di Platini, tre volte Pallone d’Oro nel 1983, 1984 e 1985, e di Zidane sono destinate molto presto ad incrociarsi.